29 Marzo 2020
Era rimasto l’ultimo tabù, quello della morte. Nelle aule e nelle discussioni fra di noi si faceva fatica a parlarne, e le persone provavano disagio.
Più o meno come negli anni 60/70 quando si parlava di sesso. Un divieto condiviso “la tendenza a evitare certe parole o locuzioni per motivi di decenza, di rispetto religioso o morale, di convenienza sociale” (V. Treccani)
Oggi si rischia di considerare normale la morte di centinaia, di migliaia di persone ogni giorno. Non un giorno, tutti i giorni, chissà per quanto tempo. Inorridisco a pensare che qualcuno tiri un sospiro di sollievo perché ieri sono morte solo 800 persone anziché 970 di ieri, un miglioramento che ci fa sperare? Mah?!
In questo senso va compreso, secondo me, che questo è un momento importante: perché ci fa capire che siamo impotenti, o meglio, possiamo darci da fare, tutti assieme, perché le cose cambino il loro verso; ma dobbiamo pensare che non è un problema degli altri, che non è scappando che risolviamo le nostre paure di essere coinvolti perché, ovunque, il problema si ripresenta. E’ mondiale. Quindi dobbiamo prenderci delle responsabilità. Per taluni, sarà la prima volta.
Per la prima volta, per alcuni di noi, non è possibile fare quello che vogliamo.
Il delirio di onnipotenza di molti di noi che pensavano fino a poche settimane fa di potere tutto, di poter fare tutto, subito, si è schiantato sul muro dell’evidenza. Passerà? Si certo. Quando? Non si sa: non subito, non nelle prossime settimane. Nel frattempo aumentano i disagi psicologici e relazionali. Non sopportiamo più gli spazi stretti, i tempi vuoti da riempire, il nostro rapporto con i sensi: i silenzi, il non toccarci, il non poter cambiare gli orizzonti, sempre quelli.
E dobbiamo rivedere parecchie cose: un imprenditore mi ha detto “due settimane fa mi sono chiuso in casa con 200 euro in tasca; oggi ho ancora 200 euro in tasca. Beato lui. Tante persone si sono chiuse in casa senza un soldo. E sono ancora senza un soldo e non sanno se arriveranno alla fine di questa storia con un lavoro e con un reddito. Sperano nei piani del governo e dell’Europa.
Di certo tutti dobbiamo ridimensionare aspettative e ritmi e stili di vita ma, forse, non è un male. Dobbiamo farci carico anche di chi sta peggio di noi. Il prossimo, quello più prossimo: il vicino di casa, il familiare, l’amico.
E il pericolo invece, di farci passare addosso questa situazione velocemente è grande. Quindi fermiamoci, se possiamo, a rileggere la nostra quotidianità ridando valore alle cose, gli oggetti e le relazioni importanti.
Alcune considerazioni , solo apparentemente slegate fra loro:
Ma in verità, fino a poco tempo fa, a chi interessava di quelle persone non più utili alla società, fuori dalle dinamiche produttive? Sono o erano spesso un peso per i miseri redditi di famiglie che fanno fatica a tirare il fine mese anche senza la retta dell’istituto. Dove sono stati i figli e i nipoti fino ad ora che, anche volendo, non si può andare a trovarli, neanche per tener loro la mano per accompagnarli “sull’altra sponda del fiume”?
Quotidianamente ho richieste di aiuto da parte di imprenditori disorientati e preoccupati: giovani pieni di angoscia su come pagare debiti, dipendenti, affitti, mutui e leasing, ma anche anziani che non vogliono mollare mai, imprenditori che sull’onda di questa situazione si sono ringalluzziti, forti dell’esperienza di crisi già vissute e superate. Immortali, sempre e comunque, che, ancora una volta, si mettono davanti a figli e nipoti, forti del potere del denaro e dell’esperienza al grido di “Tranquilli , ci penso io”. E i giovani, già spaventati per conto loro, si disegnano un futuro di secondo piano chissà per quanti anni, relegati al ruolo di comprimari probabilmente per sempre. Questo è il momento dei giovani. In guerra, purtroppo, ci vanno i giovani. Io sto rischiando di comportarmi nello stesso modo: stavo andando in pensione, arriva il coronavirus, “tranquilli ragazzi andrò in pensione più avanti”. Un cavolo. Vado in pensione e la baracca la portate avanti voi, adesso tocca a voi. Grazie. Se volete consigli ci sono, chiedete.
Nell stesso tempo mi chiamano anziani che, “siccome potrei morire fra tre giorni e non ho fatto nulla per la mia successione”, mi chiedono aiuto per accompagnarli a definire il cambio generazionale del loro patrimonio e della loro azienda, su Skype. In tre giorni.
Capisco, ringrazio per l’offerta e non mi adeguo.
Cioè, se vuoi, si fa una cosa fatta bene, devi sperare e credere che non morirai fra tre giorni, e che devi difendere il patrimonio, permettere alla tua impresa, nel presente futuro, di avere un imprenditore serio, motivato e preparato, di avere una gestione corretta e credibile, di avere un lavoro organizzato, etc.
Utilizziamo questo tempo, che è un po’ più dilatato, e mettiamo attorno al tavolo le generazioni (anche tre alla volta, considerando nonni o nipoti); facciamo chiarezza su carte e numeri, su impegni e opportunità e cogliamo questa che è l’occasione per la verità, la trasparenza, la giustizia, la pace e la legge. Vale per le imprese, ma vale per le famiglie tutte.
Sono tutte parole che devono riprendere senso e vigore, grazie anche a questo subdolo e misterioso nemico che, inconsapevolmente, può aiutarci in poco tempo a trasformare una tragedia in una grande opportunità per ricominciare meglio e insieme.