Perché la solitudine è spesso vissuta come un’esperienza così negativa?
Nel suo libro “Flow: psicologia dell’esperienza ottimale”, Mihály Csíkszentmihályi, tra i padri fondatori della psicologia positiva, cerca di raccontare la solitudine e gli aspetti positivi e negativi connessi ad essa.
Per natura l’essere umano è un animale sociale e in tutti i gruppi di aggregazione, fin da quando l’uomo esiste, tra le cose peggiori che possano accadere, al di là della morte, vi è l’esilio. La paura più grande diventa quindi l’essere privati dell’interazione con gli altri e l’esclusione dalla vita sociale.
La solitudine nella maggior parte dei casi può provocare sentimenti come il sentirsi da soli, la privazione di stimoli nel far nulla, fino al rischio di depressione. Gli stati d’animo peggiori avvengono quando non c’è nessuno e non c’è nulla da fare.
Diversi studi hanno mostrato come, in media, tutti noi associamo i momenti più piacevoli e di massima felicità a situazioni connesse agli altri: amici, famiglia, ecc.
Tale associazione avviene perché siamo programmati per ricercare la compagnia degli altri e di conseguenza connettere i momenti felici alle persone che ci circondano.
Allo stesso modo, però, anche le esperienze maggiormente negative e che ci comportano stati di malessere sono legati ai rapporti con gli altri: sia nel lavoro (colleghi prepotenti, clienti maleducati, ecc.), sia nella vita di tutti i giorni (coniuge indifferente, figli ingrati, ecc.).
Uno dei problemi più grandi della solitudine è la difficoltà a tenere in ordine la mente dall’interno. Nel momento in cui manca l’apporto dell’esterno o degli altri, la mente vaga e i pensieri diventando caotici possono provocare ciò che Csíkszentmihályi chiama “entropia psichica”. Essa è uno stato emotivo nel quale non si riesce a usare in modo efficace la propria concentrazione per affrontare i compiti esterni, a causa del bisogno di ristabilire un ordine soggettivo interno.
Negli ultimi anni, anche a causa dell’amplificazione delle tecnologie e della dipendenza da smartphone, si sente sempre più parlare del termine “FOMO”, acronimo per l'espressione inglese fear of missing out, letteralmente: "paura di essere tagliati fuori".
Tale termine indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti.
Ai giorni d’oggi, quindi, c’è sempre più un allontanamento dalla solitudine, dal saper stare da soli senza il bisogno di dover avere sempre stimoli esterni dati dalle relazioni con gli altri.
Se in gioventù non si impara ad usare bene il proprio tempo, a saper stare da soli, a controllare i pensieri sul proprio aspetto, sulla simpatia che si può riscuotere o meno o sulle possibilità che si avranno nella vita, ci si può imbattere nel rischio che, da adulti, non si sappia gestire le informazioni e le complessità della vita; oltre a non avere mai una vera e propria soddisfazione di sé e del proprio percorso di vita.
In conclusione, quindi, come si può risolve questa paura verso la solitudine e una ricerca eccessiva degli altri per sentirsi appagati nella vita?
Se leggendo questo breve articolo avevate la speranza di trovare una soluzione facile ed immediata, mi dispiace dovervi deludere!
La complessità dietro a questa tematica è ampia e ovviamente soggettiva: ognuno di non ha caratteristiche biologiche e culturali diverse e di conseguenza reagisce in maniera differente agli eventi della vita e li gestisce in modalità molto diverse tra loro.
Uno degli spunti che Csíkszentmihályi offre all’interno del suo libro è quello di allenarsi quotidianamente nel saper domare la solitudine con l’obiettivo di saper apprezzare ancora di più lo stare in compagnia.
Una delle possibilità è quella di saper sopportare la solitudine attraverso la propria capacità di organizzare l’attenzione in modo da impedire all’entropia di distruggere la propria mente.
L’autore conclude con uno spunto che spero vi faccia riflettere: “la maggioranza delle persone preferisce essere circondata dal viavai delle interazioni umane. Comunque, la solitudine è un problema che bisogna affrontare sia che si viva in pieno centro di Manhattan, sia che ci si trovi in cima all’Alaska. Se le persone non imparano a ricavarne soddisfazione, gran parte della loro vita verrà spesa cercando disperatamente di evitarne i lati negativi”.
Manuel Cagol
m.cagol@cesaroeassociati.it